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La mutevolezza delle cose

Nel racconto "La mutevolezza delle cose", si attraversano le stagioni dell’identità umana con un tono che unisce introspezione filosofica e umorismo esistenziale. Si parte dall’infanzia, dove il mondo è interrogato con stupore, per poi attraversare l’adolescenza conflittuale e approdare a una maturità solo apparente, in cui le domande non cessano ma si moltiplicano. Le riflessioni sul sé si intrecciano con l’assurdo quotidiano — dal cucchiaino colpito dal getto del rubinetto al mistero delle scatole di medicinali — in una scrittura che richiama per stile e ironia gli esercizi di pensiero di David Foster Wallace o alcuni passaggi di Limonov di Emmanuel Carrère, ma anche la malinconia paradossale di certi monologhi beckettiani. Emergono echi di filosofia esistenzialista e persino di psicologia evolutiva: il racconto accenna, senza nominarli, a modelli come la piramide di Maslow, alla teoria dell’io possibile, alla costruzione narrativa dell’identità. Il testo suggerisce che ogni persona non è un essere definito, ma una collisione in atto tra versioni passate, proiezioni future e visioni immaginate. L’identità non è fissa, ma una costellazione in continuo movimento, fatta di traiettorie deviate e scarti casuali. Il futuro immaginato si sedimenta nel passato come un ricordo, rendendo incerta persino la linea temporale dell’esperienza.

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Musiche tratte da "Fairy Tales for Grown up Children" colonna sonora ufficiale del libro "Tutte le favole per bambini cresciuti".

 

Chi siamo, quando la memoria svanisce e l’identità si frantuma? "Fragments of me" è una ballata alt-pop filosofica sul sé mutevole, sui futuri immaginati e sulla silenziosa instabilità dell’essere.
Una canzone per chiunque si sia mai sentito come una collezione di versioni incompiute.

Fragments of me

I was someone else yesterday  

Or maybe I dreamed it—hard to say  

Was it the boy who wanted more  

Or the man who forgot what he came here for?

Fragments of me, floating through time  

A thousand selves, none truly mine  

What I could be, what I became  

Flickers of light that forget my name

They said: “Be yourself” — but which one, and when?  

The one I imagined, or who I am now and then?  

I remember futures that never came true  

Still lingering here like morning dew

 

I ask myself things I don’t want to know  

“Do I belong?” — “To what, and who?”  

The answers laugh, or stay silent  

While the clock ticks backwards  

In someone else’s room

Every memory is slightly wrong  

Every truth just takes too long  

I hold my breath and walk through mirrors  

Where I’m no clearer than I was before

Is this me now? Or just a skin?  

A version of me I’m living in?  

Time bends. The mind splits.  

And still... I sit.

Frammenti di me

Ieri ero qualcun altro
O forse l’ho sognato — difficile dirlo
Ero il ragazzo che voleva di più
O l’uomo che ha dimenticato perché era venuto qui?

Frammenti di me, che fluttuano nel tempo
Mille versioni, nessuna davvero mia
Ciò che potrei essere, ciò che sono diventato
Bagliori di luce che dimenticano il mio nome

 

Dicevano: “Sii te stesso” — ma quale, e quando?
Quello che ho immaginato, o quello che sono, di tanto in tanto?
Ricordo futuri mai accaduti
Ancora qui, sospesi come rugiada del mattino

 

Mi pongo domande a cui non voglio rispondere
“Appartengo?” — “A cosa, e a chi?”
Le risposte ridono, o restano mute
Mentre l’orologio fa tic tac all’indietro
Nella stanza di qualcun altro

 

Ogni ricordo è leggermente sbagliato
Ogni verità ci mette troppo ad arrivare
Trattengo il respiro e attraverso gli specchi
Dove non sono più chiaro di prima

 

Sono davvero io, adesso? O solo una pelle?
Una versione di me nella quale sto vivendo?
Il tempo si piega. La mente si divide.
E ancora… io siedo.

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