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Le disavventure di un giovane ipocondriaco

"Le disavventure di un giovane ipocondriaco" è un racconto ironico, lucido e inquieto che esplora, con tono tragicomico, l’infinita guerra tra corpo e mente, tra sintomo reale e malattia immaginata. Il protagonista, Sigismondo, è un giovane convinto che la morte sia sempre dietro l’angolo, e ogni minimo segnale del suo organismo – un livido, un prurito, una variazione nel respiro – si trasforma in una prova inconfutabile di un destino clinico imminente e fatale. La narrazione, condotta in prima persona con ritmo sincopato e iperanalitico, ci immerge nella mente di un uomo ossessionato dalla propria salute, che interpreta ogni parola di un medico come una minaccia velata e ogni ricerca online come una sentenza definitiva. Lo stile unisce la leggerezza grottesca di certa letteratura umoristica ottocentesca (con echi di Jerome K. Jerome) all’ironia amara di Woody Allen e alla logorrea autoanalitica di David Foster Wallace, con un uso sapiente della comicità che nasce dalla sproporzione e dal cortocircuito tra la realtà e la sua interpretazione distorta. Sigismondo non è un malato immaginario nel senso classico, ma un uomo del nostro tempo, iperconnesso e sovrastimolato, vittima di quella medicalizzazione del quotidiano che trasforma l’autodiagnosi in una pratica ossessiva e il web in un oracolo ansiogeno. Le sue disavventure – raccontate con intelligenza e ritmo – sono paradossali ma credibili, dense di riferimenti alla cultura digitale, ai meccanismi cognitivi dell’ansia e al bisogno contemporaneo di controllo assoluto sul corpo. L’immagine finale dello scafandro iperbarico ordinato online, sigillato, sterilizzato e perfettamente inutile, è una potente metafora della nostra epoca: quella in cui la protezione estrema coincide con l’isolamento, e l’ossessione per la salute diventa essa stessa una forma di malattia. Nonostante il tono leggero e il gusto per l’eccesso, "Le disavventure di un giovane ipocondriaco" tocca corde profonde, raccontando con precisione il lato tragicomico della paura, e mettendo a nudo – attraverso la caricatura – le fragilità di chi, come molti di noi, cerca disperatamente un modo per non ammalarsi mai, finendo per ammalarsi di paura.

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Musiche tratte da "Fairy Tales for Grown up Children" colonna sonora ufficiale del libro "Tutte le favole per bambini cresciuti".

 

Un livido. Un prurito. Un’esperienza di pre-morte all’ora. "Sigismundus’s brief but alarming medical diary" è un brano spoken-word di dark comedy sull’ipocondria, la paranoia e la poesia dell’autodiagnosi. Spoiler: sopravvive. Per ora.

Sigismundus’s brief but alarming medical diary

I wake up.

A bruise on my shin.

Large. Purple. Definitely terminal.

I take a photo. Zoom in.

Diagnose myself.

Spend the morning drafting a will.

By lunch, it’s gone.

Suspicious.

 

That afternoon—itch.

Left armpit. Slight redness.

Possibly fatal.

I shower. Twice.

Three times.

New soap.

Wrong soap.

Chemical reaction.

Biological warfare.

Maybe both.

 

Evening arrives. I measure my urine output.

Just to be sure.

Too much. Too little.

Probably a bladder anomaly.

Possibly camel-related.

I drink two litres.

Forget why.

 

Later, I forget my keys.

And my PIN.

And the word for… table?

Brain fog.

Memory loss.

Neurodegeneration.

Obviously.

 

Then the skin thing.

Dark spot. Moving slightly.

Feels sentient.

Next morning, it vanishes.

Terrifying.

 

I google “airborne fungal parasites.”

Delete history.

Google it again.

 

My throat is itchy.

No—burning.

Definitely internal combustion.

Mild at first.

Then metaphysical.

 

Solution?

Hyperbaric chamber. Too risky.

Possibly explosive.

Scuba suit?

Too damp.

Hazmat gear?

Stylish. Unavailable.

 

I survive.

 

Just.

For now.

 

Just.

For now.

Il breve ma allarmante diario medico di Sigismondo

Mi sveglio.
Un livido sullo stinco.
Grande. Viola. Decisamente terminale.
Lo fotografo. Zoom.
Mi autodiagnostico.
Passo la mattinata a scrivere il testamento.
A pranzo, è sparito.
Sospetto.

Quel pomeriggio: prurito.
Ascella sinistra. Leggero rossore.
Possibilmente fatale.
Mi faccio la doccia. Due volte.
Tre volte.
Sapone nuovo.
Sapone sbagliato.
Reazione chimica.
Guerra biologica.
Forse entrambe.

Arriva la sera. Misuro l’urina.
Tanto per sicurezza.
Troppa. Troppa poca.
Probabile anomalia della vescica.
Possibilmente legata ai cammelli.
Bevo due litri.
Dimentico il perché.

Più tardi, dimentico le chiavi.
E il PIN.
E la parola per… tavolo?
Nebbia mentale.
Perdita di memoria.
Neurodegenerazione.
Ovviamente.

Poi il problema alla pelle.
Macchia scura. Si muove leggermente.
Sembra senziente.
La mattina dopo, scompare.
Terrificante.

Cerco su Google: “parassiti fungini trasportati dall’aria.”
Cancello la cronologia.
La cerco di nuovo.

Mi prude la gola.
No—brucia.
Decisamente combustione interna.
Leggera, all’inizio.
Poi metafisica.

Soluzione?
Camera iperbarica. Troppo rischiosa.
Possibilmente esplosiva.
Tuta da sub?
Troppo umida.
Tuta Hazmat?
Elegante. Introvabile.

Sopravvivo.

Appena.
Per ora.

 

Appena.
Per ora.

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