L'ombra dentro
"L’ombra dentro" è un racconto che scava nei recessi della percezione, in quello spazio liminale dove l’identità si frantuma e le voci del mondo sembrano attraversare il corpo come un’eco ininterrotta. La protagonista, Elena, affronta una notte che è soglia e rivelazione, immersa in una polifonia interiore che si fa via via più inquietante, concreta, impossibile da ignorare.
Il testo si muove con sapienza tra il perturbante e il lirico, evocando atmosfere che ricordano il cinema più visionario di Ari Aster o Darren Aronofsky, dove il disagio mentale e la metamorfosi identitaria non sono mai ciò che sembrano. Allo stesso tempo, c’è qualcosa di profondamente letterario nella scrittura: una tensione alla densità ritmica della parola, che rimanda alla narrativa nera di Shirley Jackson o al monologo interiore deformato di certa tradizione postmoderna.
Ma "L’ombra dentro" non è solo un racconto di possessione, o un’ipotesi alternativa sul trauma. È un dispositivo narrativo che gioca con i linguaggi — psicologico, religioso, simbolico — per restituire l’angoscia di chi non può più distinguere il dentro dal fuori, il pensiero dall'invasione. L’elemento soprannaturale è trattato con ambiguità, come una voce ulteriore che si inserisce nel coro già frastagliato della coscienza. In questa stratificazione — di identità, di colpe, di desideri repressi — il racconto si mantiene sempre sul filo, evitando la spettacolarizzazione dell’orrore e scegliendo invece una tensione più sottile, quasi claustrofobica. Il lettore viene lentamente catturato, messo a disagio, poi spiazzato da un epilogo che ribalta le aspettative e sfida le convenzioni di genere.
"L’ombra dentro" è, in definitiva, un racconto oscuro e rituale, che porta con sé i segni di una liturgia interiore, dove la voce narrante si fonde con quella delle presenze, e dove il male — forse — non è mai del tutto esterno.
Musiche tratte da "Fairy Tales for Grown up Children" colonna sonora ufficiale del libro "Tutte le favole per bambini cresciuti".
Un urlo travestito da preghiera. "Let me in" è un brano spoken-word teatrale in chiave dark-pop che esplora trauma, identità e le voci che esigono di essere ascoltate.
Un rituale di vergogna, rabbia e silenzio frantumato — dove il confine tra sé e l’altro si dissolve.
Let me in
I feel the moon cut through my skin,
The shadows dance, they crawl within.
Whispers swarm behind my eyes,
Thoughts that scream and wear disguise.
“I hear your secrets, every breath,
Your shame, your lust, your little deaths.
They echo in my fractured mind—
A thousand voices, all unkind.”
Let me in! Let me out!
Chains of silence wrapped in doubt.
Let me in! Let me out!
I am the scream you can’t live without.
Let me in! Let me out!
Your sins are mine now, there’s no way out.
Let me in! Let me out!
“Te spectavi — te exspectavi!”
They said I’m sick, they called me mad,
But I just hear what others had.
“Your prayers, your filth, your rotten bloom—
I wear your shame like sweet perfume.”
Father’s lies, and mother’s grief,
Brother’s hands that seek relief.
They think I sleep. I never do.
They think I break. But I break through.
Let me in! Let me out!
Your fears are flowers, I make them sprout.
Let me in! Let me out!
I kiss your pain, then rip it out.
Let me in! Let me out!
“Sine me intrare in te!”
Let me in! Let me out!
“Mors ego sum — vocasti me!”
“Me vocasti. Te spectavi.
Non timeas. Non timeas.
Simul vincemus mundum.
Te inveniam. Meus es.”
Let me in! Let me out!
I am the curse you dream about.
Let me in! Let me out!
This is my house, and you’re the doubt.
Let me in! Let me out!
“Animam tuam accipio!”
Let me in! Let me out!
No more silence. Just the shout.
Fammi entrare
Sento la luna tagliarmi la pelle,
le ombre danzano, strisciano dentro.
Sussurri affollano i miei occhi,
pensieri che urlano travestiti.
“Conosco i tuoi segreti, ogni respiro,
la tua vergogna, il tuo desiderio, le tue piccole morti.
Risuonano nella mia mente fratturata —
mille voci, tutte crudeli.”
Fammi entrare! Fammi uscire!
Catene di silenzio avvolte nel dubbio.
Fammi entrare! Fammi uscire!
Sono l’urlo di cui non puoi fare a meno.
Fammi entrare! Fammi uscire!
I tuoi peccati ora sono miei, non c’è via d’uscita.
Fammi entrare! Fammi uscire!“
Te spectavi — te exspectavi!”
Dicevano che ero malata, mi chiamavano pazza,
ma io sentivo solo ciò che gli altri nascondevano.
“Le tue preghiere, la tua sporcizia, la tua fioritura marcia —
indosso la tua vergogna come fosse un dolce profumo.”
Le bugie di mio padre, il dolore di mia madre,
le mani di mio fratello che cercano sollievo.
Pensano che dorma. Ma non dormo mai.
Pensano che ceda. Ma io sfondo.
Fammi entrare! Fammi uscire!
Le tue paure sono fiori, li faccio sbocciare.
Fammi entrare! Fammi uscire!
Bacio il tuo dolore, poi lo strappo via.
Fammi entrare! Fammi uscire!
“Sine me intrare in te!”
Fammi entrare! Fammi uscire!
“Mors ego sum — vocasti me!”
“Me vocasti. Te spectavi.
Non timeas. Non timeas.
Simul vincemus mundum.
Te inveniam. Meus es.”
Fammi entrare! Fammi uscire!
Sono la maledizione di cui sogni.
Fammi entrare! Fammi uscire!
Questa è casa mia, e tu sei il dubbio.
Fammi entrare! Fammi uscire!
“Animam tuam accipio!”
Fammi entrare! Fammi uscire!
Niente più silenzio. Solo l’urlo.







