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Popcorn

Alessandro si sveglia con un mal di testa lancinante, il caos urbano che filtra dalla finestra e i postumi confusi di una notte sbagliata. Ma qualcosa, stavolta, è diverso: dopo uno starnuto, non esce muco… ma un popcorn. All’inizio sembra uno scherzo della mente, una reazione al sonno o all’alcol. Poi, con ogni starnuto, la sua scrivania si riempie, l’ufficio si trasforma, e la realtà comincia a piegarsi su sé stessa. In un crescendo grottesco e surreale, tra risate dei colleghi, interventi delle signore delle pulizie e lo sguardo distaccato del capo, Alessandro precipita in una spirale percettiva in cui tutto si deforma. Scritto in uno stile allucinato e grottesco, che fonde ironia e inquietudine, Popcorn è un racconto sullo scollamento tra corpo e coscienza, tra realtà e delirio, tra l’assurdo quotidiano e l’esplosione percettiva del mondo. Un testo che richiama l’atmosfera dickiana che scivola nel grottesco e sfiora l’assurdo kafkiano, mescolando disagio esistenziale e comicità nera, fino all’ultima domanda: è successo davvero?

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Musiche tratte da "Fairy Tales for Grown up Children" colonna sonora ufficiale del libro "Tutte le favole per bambini cresciuti".

 

Popcorn è una traccia alt-pop parlata e surreale, che parla di esaurimento, crollo psichico e… colazioni fuori controllo. Uno starnuto accende la miccia. Una scrivania si trasforma in una macchina per popcorn. La realtà si piega, le risate esplodono — e il sogno potrebbe non essere affatto un sogno.

Popcorn

Woke up.

Headache like sirens.

City noise pouring in.

Room—disaster zone.

Vodka bottle. Glass tipped over.

Am I dead? Or just too alive?

 

Coffee. Cold.

Still bitter. Still brave.

Tastes like survival.

 

Shower: freezing.

Pressure: tragic.

Shirt’s a mess. Pants don’t match.

Out the door.

 

Office. Late.

No one notices. Or cares.

Neon lights blink like they know things.

Emails. Noise. Pain.

 

And then—

The sneeze.

 

Not mucus.

Popcorn.

 

Tiny. White. Warm.

Looks back at me.

 

Ignore it. Bin it.

Work.

Another sneeze.

Another popcorn.

Then three. Then ten.

Desk turns into a concession stand.

 

Coworkers look.

I hide the kernels under folders.

Smile. Pretend.

 

Too late.

 

Popcorn on the floor.

Popcorn in the air.

They laugh. They film.

They taste it.

 

The boss arrives.

He sighs.

“Call cleaning.”

 

Cleaning ladies come.

They shrug. They sweep.

“Popcorn? Better than glue hands.”

 

But my head—

Pressure. Screaming.

Every breath, a stab.

Then: music music

 

No one hears it. But me.

It grows. It swells.

Lights bend.

Walls dance.

 

One final sneeze—

And I explode.

Popcorn everywhere.

 

People cheer.

I disappear.

 

No head. No thought.

Just salt. And silence.

 

Disco.

Music pounding. Lights flashing.

Shirtless. Sweaty.

Table. Popcorn bowl.

Eyes bloodshot. Reflection strange.

 

Then—stillness.

Everyone stares.

Head throbs.

Then the fall.

 

No floor. No sky.

Just popcorn.

Falling. Drowning.

Warm. Salty. Sweet. Endless.

 

Darkness.

 

Scream. Wake up.

Room again.

Vodka bottle. Crushed sheets.

Coffee cold.

 

The popcorn?

A dream.

 

Maybe.

 

Maybe.

 

Maybe.

Popcorn

Mi sveglio.
Mal di testa come sirene.
Il rumore della città entra a fiumi.
La stanza? Una zona di guerra.
Bottiglia di vodka. Bicchiere rovesciato.
Sono morto? O solo troppo vivo?

Caffè. Freddo.
Ancora amaro. Ancora audace.
Ha il sapore della sopravvivenza.

Doccia: gelida.
Pressione: ridicola.
La camicia è un disastro. I pantaloni non c’entrano nulla.
Fuori, di corsa.

Ufficio. In ritardo.
Nessuno nota. Nessuno importa.
Le luci al neon lampeggiano come se sapessero.
E-mail. Rumore. Dolore.

E poi—
Lo starnuto.

Non muco.
Popcorn.

Minuscolo. Bianco. Caldo.
Mi guarda.

Lo ignoro. Lo butto.
Lavoro.
Altro starnuto.
Altro popcorn.
Poi tre. Poi dieci.
La scrivania diventa un chiosco da cinema.

 

I colleghi osservano.
Nascondo i chicchi sotto le cartelle.
Sorrido. Fingo.

 

Troppo tardi.

 

Popcorn sul pavimento.
Popcorn nell’aria.
Ridono. Riprendono.
Li assaggiano.

 

Arriva il capo.
Sospira.
«Chiamate le pulizie.»

 

Arrivano le signore.
Scrollano le spalle. Spazzano.
«Popcorn? Meglio delle mani incollate.»

 

Ma la testa—
Pressione. Urla.
Ogni respiro, una pugnalata.
Poi: musica.

 

Nessuno la sente. Solo io.
Cresce. Si gonfia.
Le luci si piegano.
I muri danzano.

 

Uno starnuto finale—
E io esplodo.
Popcorn ovunque.

 

La gente applaude.
Io sparisco.

Niente testa. Niente pensiero.
Solo sale. E silenzio.

Discoteca.
Musica che martella. Luci che esplodono.
Senza maglietta. Sudato.
Tavolo. Ciotola di popcorn.
Occhi rossi. Riflesso straniero.

Poi—immobilità.
Tutti mi fissano.
La testa pulsa.
Poi la caduta.

Nessun pavimento. Nessun cielo.
Solo popcorn.
Caduta. Annegamento.
Caldo. Salato. Dolce. Infinito.

Buio.

Urlo. Mi sveglio.
Di nuovo la stanza.
Bottiglia di vodka. Lenzuola stropicciate.
Caffè freddo.

I popcorn?
Un sogno.

Forse.
Forse.
Forse.

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