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I miei commenti e recensioni - Millennial: anatomia di una generazione intermedia

  • Immagine del redattore: Nicola Vazzoler
    Nicola Vazzoler
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 8 min

Ogni volta che si parla di generazioni, il discorso pubblico scivola rapidamente nella confusione: date che si spostano, definizioni che cambiano, categorie che diventano slogan. Accade anche con i millennial, spesso indicati come i giovani di oggi, altre volte come i nati negli anni ’80 o come chiunque sia cresciuto nell’era di Internet. Ma una generazione non nasce per decreto: prende forma nel modo in cui attraversa un cambiamento storico. Delle soglie temporali, e di come sfumano più che separare, ne ho già scritto altrove.


Secondo il Pew Research Center, i millennial comprendono i nati tra il 1981 e il 1996. Ma più del confine anagrafico conta l’esperienza condivisa: quella di una generazione cresciuta tra un mondo che sembrava stabile e uno che ha iniziato a cambiare troppo rapidamente.


Sono abbastanza vecchi da ricordare il mondo analogico e abbastanza giovani da essere stati plasmati da quello digitale. Abbastanza protetti da credere, da bambini, che la storia fosse entrata in una fase di continuità, e abbastanza esposti da scoprire, da adulti, che quella continuità era un’illusione.


Scrivo di questa generazione non da osservatore esterno, ma da parte in causa: è la mia generazione, e molte delle sue transizioni coincidono con le mie.


Quello che segue non è una classificazione, ma il tentativo di tracciare la mappa di un’esperienza collettiva: quella di una generazione in transizione che ha lasciato un secolo e non ne ha ancora trovato pienamente un altro. Per il confronto, i riferimenti impliciti sono i baby boomers, la generazione X e gli zoomers.


1. Chi sono davvero i millennial

Definire i millennial è difficile non perché manchino dati, ma perché la loro identità si colloca tra categorie che sfumano. Il Pew Research Center propone il periodo 1981–1996, ma ciò che conta davvero è la traiettoria condivisa. Sono gli ultimi a ricordare il canto del modem 56k e il telefono fisso, e i primi a vivere la rivoluzione digitale dall’interno. Si muovono in due mondi: non appartengono pienamente a quello analogico in cui sono nati, né al digitale in cui sono diventati adulti.


Il loro tratto più distintivo, però, non è tecnologico. È storico. Nascono mentre l’Europa sembra avere ritrovato stabilità e crescere in un clima di ottimismo: la fine della Guerra Fredda, il Muro di Berlino che crolla, il terrorismo interno che si ritira, l’Unione Europea che promette cooperazione. Le famiglie vivono una stagione di benessere diffuso, la mobilità sociale appare possibile e la globalizzazione sembra una promessa più che una minaccia.


Questo ambiente forma un immaginario preciso: l’idea che il futuro sarà una versione migliorata del presente. Ma quando i millennial raggiungono l’età adulta, quel futuro cambia direzione. Le certezze svaniscono e ciò che resta è la necessità di adattarsi.


2. Il contesto in cui sono nati (anni ’80–’90)

Gli anni ’80 e ’90 rappresentano, per l’Europa, la stagione in cui la storia sembra uscire dall’emergenza. È un decennio in cui la pace appare naturale, la crescita possibile e la stabilità un dato implicito. Il Trattato di Maastricht del 1992 non è vissuto solo come un accordo tecnico, ma come un progetto culturale fondato sulla fiducia reciproca. Le famiglie dei millennial respirano questo clima: un presente solido e un futuro immaginato come un ampliamento quasi automatico di quel presente.


La tecnologia, pur ancora rudimentale, entra lentamente nella vita quotidiana: i primi computer domestici, i videogiochi, i telefoni cellulari e il debutto di Internet. Nulla è ancora totalizzante, ma tutto annuncia che la modernità sta accelerando.


Sotto la superficie, però, si muovono processi che emergeranno solo negli anni 2000: la delocalizzazione industriale, la trasformazione del lavoro, l’indebolimento del welfare, la revisione del sistema pensionistico e il graduale rallentamento dei salari reali. L’abolizione della scala mobile tra il 1986 e il 1992 — registrata nei rapporti ISTAT del 1993 e nelle analisi del CNEL — avvia una divergenza tra salari e costo della vita che diventerà evidente solo quando i millennial entreranno nel mercato del lavoro.


Sono cresciuti in un mondo che si percepiva stabile mentre sotto quella stabilità si preparavano cambiamenti che nessuno aveva ancora nominato.


3. Le grandi transizioni che hanno formato i millennial (2000–2010)

Il nuovo millennio segna il momento in cui i millennial raggiungono in generale l’adolescenza e poi l’età adulta. Ed è proprio in questo passaggio che incontrano una sequenza di eventi che interrompono l’illusione di continuità ereditata.


L’11 settembre 2001 è il primo. Per molti di loro è la prima volta in cui la vulnerabilità globale diventa visibile in diretta. A seguire, il mercato del lavoro si trasforma in un sistema di contratti flessibili, discontinui, frammentati. Le riforme tra anni ’90 e 2000 modificano radicalmente l’accesso alla stabilità. Il lavoro non è più il luogo della protezione, ma uno spazio da ricontrattare continuamente.


Poi arriva il 2008. La crisi finanziaria non colpisce solo i mercati. Chi sta entrando nel mondo del lavoro in quegli anni si trova davanti un ingresso sbarrato. I dati OCSE in How’s Life? 2020 e la Eurostat Labour Market Review 2019 mostrano con precisione come il reddito dei giovani europei inizi a stagnare o retrocedere rispetto alle generazioni precedenti proprio dopo quella crisi.


Mentre tutto ciò accade, il digitale passa da novità a condizione. I social network ridefiniscono identità e relazioni; lo smartphone trasforma la presenza in reperibilità continua; Internet diventa una struttura mentale oltre che una tecnologia.


I millennial entrano nell’età adulta attraversando transizioni che arrivano senza pausa: terrorismo globale, instabilità mediorientale, crisi economica, trasformazione tecnologica, precarizzazione del lavoro. Non una crisi, ma una densità di crisi.


4. Il costo della vita: salari, inflazione e il nuovo squilibrio generazionale

Per capire la fatica economica dei millennial bisogna osservare la struttura dei prezzi e dei salari negli ultimi quarant’anni.


L’abolizione della scala mobile ha avviato un processo silenzioso: i salari reali hanno iniziato a crescere più lentamente dei prezzi, come documentato nei rapporti ISTAT del 1993 e nella Relazione della Banca d’Italia del 1994. Negli anni ’90, il paniere ISTAT si aggiorna inserendo beni tecnologici che, deprezzandosi rapidamente, abbassano l’inflazione ufficiale ma non quella percepita dai giovani, che devono confrontarsi soprattutto con affitti, energia, trasporti e cibo fresco. Lo mostrano chiaramente i dati Eurostat-HICP del periodo 1996–2005.


Il prezzo delle case cresce in modo ancora più marcato: l’OCSE, in Housing Affordability in OECD Countries (2017), certifica che in molti Paesi europei i prezzi degli immobili sono aumentati molto più dei redditi. Ciò che per i genitori era un traguardo naturale, per i millennial diventa un obiettivo fuori scala.


Nel frattempo aumenta il lavoro discontinuo, come confermato dall’ISTAT nel Rapporto sul mercato del lavoro 2005–2015, e peggiorano le prospettive pensionistiche. L’articolo di La Stampa del 2 dicembre 2015, La beffa delle pensioni per i nati negli anni ’80, anticipa dati poi confermati da Pensions at a Glance 2019 dell’OCSE: i millennial potrebbero lavorare fino a 75 anni con assegni inferiori del 20–25%.


Tutto questo non è frutto di scelte individuali, ma della struttura economica in cui questa generazione si forma.


5. Demografia: la piramide rovesciata e il peso della minoranza

L’Italia e gran parte dell’Europa stanno vivendo un processo demografico che modifica profondamente il patto tra generazioni. ISTAT, nel Rapporto Annuale 2023 e nelle Proiezioni 2023–2100, descrive un Paese in cui la base giovane si restringe mentre la fascia anziana si allarga. La piramide demografica tradizionale non esiste più: oggi assomiglia a un vaso rovesciato.


Questo ha conseguenze dirette. Nel dopoguerra, un pensionato era sostenuto da quattro o cinque lavoratori; secondo le simulazioni OCSE in Pensions at a Glance 2021, questo rapporto potrebbe scendere verso uno a due. Il welfare cambia natura: la spesa sanitaria e sociale per gli over 65 assorbe una quota crescente di risorse, come mostra ISTAT nel rapporto Il futuro demografico del Paese 2022–2070.


In questo scenario, le scelte dei millennial — meno figli, casa rimandata, carriera non lineare — non derivano da individualismo, ma dal contesto. La denatalità cresce laddove redditi bassi e incertezza impediscono pianificazioni lunghe. Non è una rinuncia: è una risposta coerente all’ambiente.


6. Crisi internazionali, sfiducia politica e un mondo instabile

La generazione millennial diventa adulta in un mondo meno governabile di quello dei genitori. Il quadro internazionale non è più quello dei blocchi rigidi, ma un sistema in cui eventi locali generano conseguenze globali.


L’OCSE, nei suoi Global Outlook, e la World Bank, nei World Development Report del 2011 e del 2022, descrivono un ordine segnato da terrorismo, conflitti asimmetrici, migrazioni, crisi energetiche e ritorno delle guerre in Europa. In questo contesto la crisi del 2008 si inserisce come trauma politico prima ancora che economico. La fiducia nelle istituzioni si indebolisce: l’Eurobarometro del 2022 mostra che i giovani tra i 18 e i 39 anni esprimono i livelli più bassi di fiducia dei trent’anni precedenti.


La globalizzazione, che nei ’90 era una promessa, diventa una realtà ambivalente. I dati del World Inequality Report 2022 mostrano come la ricchezza globale si sia concentrata proprio negli anni in cui i millennial entravano nel mercato del lavoro. A ciò si aggiunge la crisi climatica: l’IPCC, nel suo Sesto Rapporto (2021–2023), documenta come la loro crescita coincida con il passaggio da previsioni teoriche a evidenze quotidiane.


Le crisi non arrivano in successione, ma in sovrapposizione. La normalità della generazione millennial è la normalità dell’instabilità, e il loro vero tratto distintivo è essere diventati adulti proprio mentre la stabilità smetteva di essere un orizzonte collettivo.


7. La rivoluzione digitale e la trasformazione del quotidiano

La trasformazione più profonda che i millennial hanno vissuto è quella digitale. Non si tratta semplicemente dell’arrivo di nuovi strumenti, ma della ristrutturazione del tempo, dello spazio, dell’identità e del modo di relazionarsi.


La loro è una condizione di doppia alfabetizzazione: ricordano il mondo senza internet, ma sono diventati adulti nel mondo costruito da internet. Con l’avvento dei social network nasce il sé digitale: l’adolescenza o la prima età adulta sono documentate, l’identità diventa visibile, la reputazione diventa un processo. Lo smartphone elimina la distinzione tra vita privata e vita lavorativa: la reperibilità diventa uno stato mentale.


Il tempo stesso cambia ritmo. La notizia è immediata, il contenuto viene sostituito prima ancora di essere assimilato, la memoria si esternalizza. Il presente si espande, il futuro si contrae. Anche il corpo cambia statuto: diventa un’immagine, un profilo, un archivio visibile. La comunità si sposta su territori ibridi: meno radicati, più fragili, più numerosi, meno stabili. Questa rivoluzione non è stata scelta: è stata attraversata. I millennial non sono nostalgici né nativi digitali. Sono intermedi.


8. Alimentazione, salute, stress e aspettativa di vita

Una delle scoperte più sorprendenti degli studi internazionali è che i millennial potrebbero vivere meno a lungo dei loro genitori, nonostante vivano in un’epoca più ricca di conoscenze mediche. L’OCSE, in Preventing Ageing Unequally (2017), mostra come la combinazione di cattiva alimentazione, precarietà e stress cronico possa ridurre i guadagni di longevità.


L’OMS, nell’European Regional Obesity Report 2022, documenta l’aumento dell’obesità infantile negli anni della loro crescita: un cambiamento alimentare strutturale che ha conseguenze sulla vita adulta. Lo stress è altrettanto determinante: una revisione pubblicata su The Lancet Public Health nel 2022 segnala un aumento dei disturbi correlati alla pressione psicologica tra giovani adulti.


La sedentarietà digitale, monitorata dall’OMS, accentua questi fenomeni. A livello demografico, Health at a Glance: Europe 2020 e il Global Burden of Disease registrano un rallentamento della speranza di vita.


Non è la generazione a essere fragile: è l’ambiente. E quando l’ambiente si ammala prima delle persone, ciò che appare come un limite individuale è in realtà il segno di una trasformazione collettiva.


9. Identità millennial: una generazione dell’adattamento continuo

I millennial sono cresciuti in un’epoca in cui il cambiamento non era un evento, ma il contesto. Questa condizione non ha prodotto fragilità, ma una capacità di adattamento che spesso viene scambiata per indecisione.


Molte delle loro scelte — casa rimandata, figli posticipati, carriere non lineari — non sono esitazioni, ma risposte coerenti alle nuove condizioni. La loro identità si forma nella traduzione continua tra analogico e digitale, tra stabilità promessa ed effettiva precarietà, tra identità intime ed esposte. Non hanno scelto la flessibilità: l’hanno dovuta imparare. In un mondo che cambiava più rapidamente delle sue istruzioni, hanno costruito la propria biografia nella complessità.


10. Una generazione di continuità e discontinuità

Ogni generazione eredita un mondo e ne costruisce un altro. I millennial hanno ereditato un mondo che sembrava stabile e hanno costruito la loro vita in un mondo che stabile non era più. Le analisi di Eurostat, ISTAT, OCSE, OMS e Pew Research Center convergono su un punto: non sono una generazione fragile, ma una generazione-soglia.


Diversamente dai genitori, entrano in un mondo meno lineare. Diversamente dai nati dopo il 2000, non sono cresciuti dentro la trasformazione, ma nel suo formarsi. Hanno visto dissolversi un modello e nascere il successivo senza avere le mappe per orientarsi.


Eppure, proprio questa posizione intermedia è la loro forza. La loro generazione ha imparato a leggere e abitare la complessità prima che il mondo diventasse definitivamente complesso. È una competenza invisibile ma decisiva, come molti commenti e analisi recenti iniziano finalmente a riconoscere, forse il tratto più solido che questa generazione potesse consegnare al futuro.

 
 
 

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