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I miei commenti e recensioni - Dal trittico di Guadagnino a un quarto capitolo: variazioni sul desiderio

  • Immagine del redattore: Nicola Vazzoler
    Nicola Vazzoler
  • 4 giorni fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Il cinema di Luca Guadagnino è una lunga meditazione sul desiderio come forza che entra dall’esterno e cambia tutto. Nei suoi film, il desiderio non è mai un sentimento addomesticato, ma un ospite inatteso: irrompe, destabilizza, mette in crisi, e alla fine rivela verità che i protagonisti non erano pronti a vedere. Non importa se lo sfondo è una villa borghese milanese, una casa sospesa sull’isola di Pantelleria o una campagna lombarda d’estate: in ogni contesto, l’arrivo di un elemento “altro” smuove equilibri familiari e personali, trasformando la vita in un campo di tensioni tra il vecchio ordine e il nuovo che avanza.


Questo trittico – Io sono l’amore (2009), A Bigger Splash (2015) e Call Me by Your Name (2017) – disegna tre variazioni di uno stesso tema: il desiderio come detonatore, capace di liberare, distruggere o far crescere. In questa lettura, parte delle mie recensioni dedicate al cinema e alla letteratura contemporanea, il desiderio è irruzione, fiamma improvvisa che brucia e consuma; l’amore, invece, è sedimentazione, memoria, un tempo più lento che resiste.


Guadagnino sembra dirci che l’amore non nasce mai senza il passaggio violento e rischioso del desiderio, e che solo attraversando quella scintilla possiamo forse capire cosa significa davvero amare.


La ribellione - Io sono l’amore

Dentro le mura ordinate della villa dei Recchi tutto sembra immobile: rituali borghesi, pranzi solenni, ruoli codificati. Emma (Tilda Swinton), moglie straniera trapiantata a Milano, vive soffocata in questa perfezione di facciata, avendo sacrificato la propria identità per incarnare il modello della famiglia.


L’incontro con Antonio, giovane chef e amico del figlio, incrina l’equilibrio. Un piatto cucinato con passione, un assaggio carico di sensualità: basta poco perché Emma riscopra un desiderio sepolto. Il cibo e la natura diventano complici di un risveglio che mette in crisi ogni regola.


Il loro legame non è solo adulterio, ma ribellione: Emma non fugge dall’amore coniugale, fugge dalla sua assenza. La villa, simbolo di potere e tradizione, si trasforma in prigione dorata e infine in scena della sua liberazione.


In questo primo capitolo del trittico, Guadagnino mette in scena il desiderio come forza vitale: destabilizza, ma apre alla rinascita.


La lacerazione - A Bigger Splash

A Pantelleria, isola aspra e vulcanica, Marianne (Tilda Swinton), rockstar convalescente, e Paul (Matthias Schoenaerts) cercano pace e silenzio. Ma l’arrivo di Harry (Ralph Fiennes), ex amante e produttore travolgente, insieme alla figlia Penelope (Dakota Johnson), spezza l’equilibrio.


Harry porta con sé un passato ingombrante e una vitalità invadente, Penelope un fascino silenzioso e insinuante: insieme trasformano il rifugio in un teatro di tensioni. Gelosie, desideri e vecchie ferite emergono come lava che preme sotto la crosta.


Se in Io sono l’amore il desiderio liberava, qui si fa lacerazione: divide, corrode, rende impossibile distinguere amore da possesso. Pantelleria, con il suo paesaggio ardente, amplifica il dramma fino a una notte fatale che segna la fine di ogni illusione di stabilità.


Guadagnino mostra il lato oscuro del desiderio: non sempre porta alla vita, a volte brucia senza lasciare scampo.


La rivelazione - Call Me by Your Name

Nell’estate del 1983, tra le campagne assolate di Crema, Elio (Timothée Chalamet) vive la sua adolescenza tra musica, libri e noia. L’arrivo di Oliver (Armie Hammer), studente americano ospite della famiglia, incrina quella quiete con un’attrazione inizialmente trattenuta, fatta di sguardi e silenzi che diventano via via inevitabili.


Il loro legame esplode in una passione che dura solo una stagione, ma che segna entrambi per sempre. Non c’è scandalo né distruzione: c’è rivelazione. Per Elio, il desiderio è il passaggio necessario verso l’amore, un’iniziazione che lo costringe a conoscersi davvero.


A differenza della prigione borghese di Milano e del caos di Pantelleria, qui la famiglia è un rifugio, un contesto che accoglie e protegge. L’Italia estiva diventa Eden e cornice di una verità semplice: l’amore autentico nasce dalla vulnerabilità, e la sua forza sta proprio nella sua fragilità.


L’indicibile - Poi arrivò Sofia

Non è un film di Guadagnino, ma un mio racconto, eppure sembra dialogare (o forse mi piacerebbe potesse dialogare) con il suo trittico come un quarto capitolo possibile. In Poi arrivò Sofia (tratto dalla raccolta di racconti Tutte le favole per bambini cresciuti) la scena non è Milano, Pantelleria o la campagna cremonese, ma una casa di provincia abitata da una madre e dai suoi due figli, Eberardo e Valeriano. È una famiglia borghese: facciata ordinata, vita interiore segnata da tensioni e rivalità mai risolte.


L’arrivo di Sofia, studentessa enigmatica con una valigia e un sorriso, incrina quell’equilibrio statico. La sua presenza diventa lentamente il centro silenzioso intorno a cui i fratelli orbitano, trasformando la competizione in attrazione condivisa. Prima in segreto, poi come inevitabile rivelazione, il desiderio si fa indicibile: non solo amore per la stessa donna, ma riconoscimento reciproco tra due fratelli che per anni si erano combattuti.


Sofia non è destinazione, ma catalizzatore. Quando se ne va, lascia dietro di sé un vuoto pieno di significato: l’equilibrio familiare è ormai mutato. Qui il desiderio non distrugge né libera soltanto: scava un varco verso l’inaspettato, dove le distanze si accorciano.


Ciò che resta

Guadagnino ci ricorda che il desiderio è sempre un ospite inatteso: entra senza bussare, sposta i mobili, rovescia i bicchieri. L’amore, quando arriva, prova a rimettere insieme i pezzi.


E anche la “mia” Sofia, con la sua comparsa silenziosa e destabilizzante, racconta la stessa cosa: che il desiderio non ha mai un esito unico. Può liberare, lacerare, rivelare, o restare indicibile. E forse la sua verità più profonda sta proprio lì: non nel garantire risposte, ma nel lasciare domande aperte.

 
 
 

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