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I miei commenti e recensioni - Narciso, Dorian Gray e Rodolfo: tre volti della stessa ossessione

  • Immagine del redattore: Nicola Vazzoler
    Nicola Vazzoler
  • 19 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

La giovinezza e la bellezza sono due divinità capricciose, talvolta sadiche, e hanno anche un nome: Hebe e Afrodite. Ti illudono di essere immortale e bellissimo e poi, un solo istante dopo, ti mollano con le zampe di gallina agli occhi e ad affrontare in solitudine la forza di gravità. Da millenni cerchiamo di ingraziarcele, ma oggi la loro adorazione è diventata quasi tossica. Se non delirante. Bombardati da immagini effimere, rimbalziamo da un social all’altro dove gli standard di perfezione sono diventati ormai irraggiungibili. E mentre questo accade Hebe e Afrodite ridono, e molti di noi invece si disperano, rincorrendo un’ossessione che sembra nuova ma che in realtà ha radici antiche e profondissime. Questa è una delle mie recensioni più intime, un viaggio fra mito e modernità: da Narciso e Dorian Gray fino a Rodolfo, alla ricerca del senso ultimo della bellezza.


Narciso e la radice del mito

Il mito di Narciso è il punto zero dell’ossessione estetica: la bellezza come trappola naturale. Narciso si specchia, si ammira, si perde. Non fa nulla, se non guardarsi. È un’arroganza passiva, incapace di restituire amore a Eco o a chiunque altro. Non corrompe, non trama, non stringe patti: semplicemente, muore di se stesso. La sua condanna è lineare, quasi elementare: chi ama solo la propria immagine è destinato a svanire insieme ad essa. È un racconto allegorico, che ci mette in guardia sulla vanità come limite umano.


Dorian Gray e la declinazione moderna

Con Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, il mito si fa letteratura. La bellezza non è più riflesso naturale ma diventa maschera sociale, garantita da un patto faustiano.

Dorian non si limita a guardarsi: agisce, seduce, inganna, distrugge. L’immagine resta intatta, il quadro invecchia al posto suo, e in questo scarto si accumulano le colpe di una vita dissoluta. Qui la vanità non è più passiva: è attiva, corruttiva, alimentata da una società che celebra l’apparenza e nasconde il marciume.

Se Narciso è un’allegoria immediata della superbia, Dorian è specchio morale della modernità: la bellezza come maschera che protegge dall’oblio, ma che alla fine cade, mostrando l’anima corrotta.


Rodolfo che vive nella postmodernità

Nel mio racconto Il teorema estetico, raccolto in Tutte le favole per bambini cresciuti, l’ossessione estetica approda all’oggi. Rodolfo non si specchia in un lago, né nasconde un quadro in soffitta: passa da sieri a filler, da creme SPF a bisturi, trasformando la cura di sé in un rituale che rasenta il culto della sua persona.

Come Narciso, si perde nella contemplazione del proprio volto. Come Dorian, vuole piegare il tempo e illudersi eterno. Ma lo fa con il linguaggio contemporaneo: skincare, operazioni chirurgiche, ricerche online. La sua non è più tragedia mitologica né patto con il diavolo: è l’ossessione di chi cerca nella tecnica la formula per fermare l’invecchiamento, giungendo infine ad un assurdo “teorema estetico” che porta inevitabilmente al paradosso.


Corsi e ricorsi o solo rincorse

Alla fine, Narciso annega nel suo riflesso, Dorian si condanna nel ritratto e Rodolfo si perde nel suo teorema estetico. Tre varianti della stessa ossessione: la giovinezza e la bellezza che pretendiamo di trattenere e che invece ci sfuggono tra le dita. Cambiano i secoli, cambiano i nomi, ma la trama resta identica: inseguire Hebe e Afrodite, fingere di averle domate, scoprire che invece sono loro a prendersi gioco di noi. E mentre molti di noi spendono fortune in creme, bisturi e app per modificare il proprio aspetto (ci si è messa pure l’IA adesso), loro ridono: la stessa risata tagliente di tremila anni fa. Nessun filtro bellezza riuscirà a farle smettere. Anzi, saranno più crudeli. O semplicemente realiste, come solo le divinità sanno essere.

 
 
 

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